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Writer's pictureMassimo Argo

Belvas - Roccen - Autoproduzione - 2021

In questa orgia sensoriale chiamata streaming a volte non sappiamo nemmeno i nomi dei gruppi o i titoli dei dischi, quegli stessi dischi che molto velocemente passano nei nostri neuroni, per poi scomparire in lontananza e addio. Sono poche le opere che rimangono, quelle cose fatte ancora con cura e dedizione, con lo scopo di piacere e di far scaturire qualcosa nell’ascoltatore, sia questo bello o brutto. Quelle sensazioni di vita e di morte che nascono dalla musica e si espandono lontane. Il primo disco dei comaschi Belvas , Roccen, è così. Arriva sinuoso, grunge come non se ne sentiva da tempo in italiano, con quel malessere che diventa blues e ti si attacca addosso. Le chitarre sono taglienti e sembrano uscite da quel magico momento degli anni novanta che ha poi plasmato molto della musica pesante che ascoltiamo adesso, la batteria è calibrata molto bene e viaggia in sincronia perfetta con il basso, e la voce è speciale, un sacrificio umano all’eterna difficoltà di essere umani. Roccen è un disco che non ti aspetteresti nel 2021, in questa epoca di distanza fra umani, e di eterna ricerca del finto benessere, mentre bisogna sputare fuori il male e anche il bene. Qui c’è tutto questo e molto di più. Il gruppo è all’esordio discografico, ma i suoi componenti hanno bazzicato molto il sottobosco locale e non solo, Claudio Palo è stato il batterista dei Milaus

ed ex batterista e membro fondatore dei Manetti, ad esempio. Ciò però non conta granché, quello che conta i Belvas lo hanno messo nella loro musica, ed è una musica bellissima, un disco fortemente anni novanta ma che suona attualissimo, con punte davvero altissime, tanto per dirne una la canzone Disco B è da brividi, sia per la musica che spazia in più generi differenti all’interno della stessa canzone, che per il cantato.

Un disco che arriva scalciando e che ti lascia diverso da come eri prima.

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