Torna il gruppo inglese Sothiac in combinazione con Paul Jolly, collaborazione che aveva già dato ottimi frutti con il precedente ep Superluna. Le canzoni sono state rielaborate e risuonate durante la chiusura dovuta alla pandemia, e anche questo è un frutto dei nostri tempi, con i musicisti costretti a collaborare in forme diverse da quelle usuali, anche se molti gruppi che hanno i membri residenti in differenti luoghi hanno già attuato queste forme di collaborazione a distanza. Il risultato è un disco che è musicale in senso altro e diverso sa quello cui siamo abituati, è improvvisazione su scala ambientale, un lavoro di generazione di patterns e di suoni che parte formalmente dal jazz più libero ed improvvisato per arrivare a generare un qualcosa di ambient e di davvero spaziale nel senso di occupazione differente dello spazio sonoro. Il titolo è quanto mai azzeccato, dato che Tiamat è uno dei pianeti scomparsi, un qualcosa che i sumeri sapevano e che noi, con la nostra scienza che tutto fa, possiamo solo immaginare e nemmeno tanto bene. Il lavoro è come se fosse un adattamento teatrale e sonoro di movimenti cosmici, di pianeti che si toccano e di asteroidi che vagano, un cogliere in maniera mentale una visione che ci è preclusa fisicamente ma non mentalmente. Tiamat è cibo per la mente, riverberi riverberati di echi lontani, voce che si fonde con un acuto di tromba o di sax, la disperazione umana di fronte alla pazzia di uno spazio talmente vasto che fa scoppiare il cervello solo a pensarci. Un gran lavoro per un gruppo che fa solo cose interessanti e che vanno oltre la comune e superata visione della musica moderna, qui siamo oltre, nello spazio profondo.
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